"A forza di silenzio il mondo è marcito"

Avete taciuto abbastanza. E’ ora di finirla di stare zitti! Gridate con centomila lingue. Io vedo che a forza di silenzio il mondo è marcito.  Santa Caterina da Siena



E non basteranno neanche le parole chiare del Papa di ieri a proposito di gender e di guerra mondiale contro il matrimonio. Perché il tutto passa da sottili distinzioni che permettono di tenere insieme il Magistero con il suo sovvertimento: si prende le distanze da una ideologia del genere, che forse neanche esiste (si dice), ma si valorizza l'accompagnamento alla costruzione dell'identità sessuale; si condanna a parole l'indottrinamento nelle scuole ma poi si costruiscono percorsi nelle diocesi e nelle parrocchie - per «capire», per «dialogare» - che fanno la stessa cosa; si fa finta che il gender sia una cosa e l'omosessualità un'altra; si spaccia per aiuto alle persone ciò che è invece pura e semplice promozione di uno stile di vita; si difende il matrimonio ma poi si promuovono le unioni omosessuali «basta che non siano equiparate alla famiglia». Tanto per capire che in confronto ai personaggi che guidano l'opinione nella Chiesa oggi, i capi dei farisei al tempo di Gesù erano dilettanti.
Per questo la condanna dell'ideologia del gender non è più sufficiente, si deve affermare con chiarezza che questa ideologia e la promozione dell'omosessualità, la pretesa che essa sia una semplice «variante della natura», sono un tutt'uno. Si deve dire in modo inequivocabile che accogliere le persone e accompagnarle è cosa ben diversa dall'accettare stili di vita incompatibili non con la dottrina ma con il bene delle persone stesse. Così come si bastona quanti usano la dottrina come pietre da scagliare contro le persone, si deve denunciare con forza quanti stravolgono e usano il Magistero della Chiesa per affermare dottrine personali o, peggio, per sistemare le proprie situazioni affettive. 
continua

il Garante

“Anche il Papa non può fare quello che vuole. 
Non è un monarca assoluto, come un tempo lo furono alcuni re. 
È tutto il contrario: egli è il garante dell'ubbidienza. 
Egli è il garante del fatto che noi non siamo dell'opinione sua o di chicchessia, ma che professiamo la fede di sempre della Chiesa che egli, "opportune importune", difende contro lo opinioni del momento”.

JOSEPH RATZINGER - dalla "Omelia del 22 agosto 1999 nella St. Johannes Kirche" in "Le Omelie di Pentling"




“Si dovrebbe evitare soprattutto l’impressione che il Papa (o l’ufficio in genere) possa solo raccogliere ed esprimere di volta in volta la media statistica della fede viva, per cui non sia possibile una decisione contraria a questi valori statistici medi (i quali sono poi anche problematici nella loro constatabilità).
La fede si norma sui dati oggettivi della Scrittura e del dogma, che in tempi oscuri possono anche spaventosamente scomparire dalla coscienza della (statisticamente) maggior parte della cristianità, senza perdere peraltro in nulla il loro carattere impegnante e vincolante.


In questo caso la parola del Papa può e deve senz’altro porsi contro la statistica e contro la potenza di un’opinione, che pretende fortemente di essere la sola valida; e ciò dovrà avvenire con tanta più decisione quanto più chiara sarà (come nel caso ipotizzato) la testimonianza della tradizione.

Al contrario, sarà possibile e necessaria una critica a pronunciamenti papali, nella misura in cui manca a essi la copertura nella Scrittura e nel Credo, nella fede della Chiesa universale.

Dove non esiste nè l’unanimità della Chiesa universale nè una chiara testimonianza delle Fonti, là non è possibile una decisione impegnante e vincolante; se essa avvenisse formalmente, le mancherebbero le condizioni indispensabili e si dovrebbe percio’ sollevare il problema circa la sua legittimità”.

Joseph Ratzinger, Il nuovo Popolo di Dio", Brescia, 1971, pp. 157/158


“Il Romano Pontefice è – come tutti i fedeli – sottomesso alla Parola di Dio, alla fede cattolica ed è garante dell’obbedienza della Chiesa e, in questo senso, servus servorum. Egli non decide secondo il proprio arbitrio, ma dà voce alla volontà del Signore, che parla all’uomo nella Scrittura vissuta ed interpretata dalla Tradizione; in altri termini, la episkopè del Primato ha i limiti che procedono dalla legge divina e dall’inviolabile costituzione divina della Chiesa contenuta nella Rivelazione”.

Joseph Ratzinger, Congregazione per la dottrina della fede, “Il primato del successore di Pietro nel mistero della Chiesa” (1998)

A Rughino, dieci anime sparse sull'Appennino

A Rughino, dieci anime sparse sull'Appennino, le notizie arrivano con calma. Perché ci sono tanti campi, ma "non c'è campo". Qui il segnale va e viene e, di solito "non prende". Anche questa è periferia. Quassù sembra quasi di stare in un bell'ospizio a cielo aperto, le notizie più interessanti per la gente sono quelle sulle novità del presidio medico. Un povero prete si trova qui in esilio montano e il lavoro pastorale è semplice: visitare gli infermi e seppellire i defunti. Di matrimoni neanche l'ombra, il più giovane qui ha 60 anni.
"Don Camillo, ma non ha letto Amoris laetitia? Il Papa ha detto che i divorziati risposati possono fare la comunione. E ha anche detto che gli adulteri e i fornicatori non sono "irregolari", ma solo in discernimento. Ah, se lo avessi saputo prima..."
"Ma, Desolina cosa dice?"
"Sì, sì, l'ho letto su Repubblica! E l'ha detto anche il Tg1!"
Le perpetue ormai sono emancipate e sanno dove andare a prendere le notizie sulla Chiesa. "Ma non è possibile, avrà capito male. Non so se ricorda, ma "quello che Dio ha congiunto l'uomo non lo separi", che mi sembra una fonte più sincera di Repubblica e il Tg1!" E poi ci sarebbe anche il sesto comandamento, e quel discorso fatto sulla montagna a proposito di chi guarda una donna per desiderarla commettendo già adulterio nel suo cuore..."
"Don Camillo lei è il solito vecchio arnese in sottana che scaglia pietre contro i fedeli. Sempre fissato con questi comandamenti e con le regole. Deve aggiornarsi una buona volta, se no non avvicinerà mai nessuno. Legga Amoris laetitia, 260 pagine cosa vuole che siano?"
Don Camillo, che era abituato alla stringata sintesi evangelica, pensò che via, via che passano gli anni i documenti del Vaticano guadagnano in chilometri di lunghezza e perdono un po' di schiettezza. "Va bene Dosolina, mi informo e ne parliamo". Il gender a Rughino non aveva ancora messo piede, anche se don Camillo ne aveva sentito parlare.
Una roba che gli sembrava venire da Marte, a lui che era cresciuto con quelle quattro idee fondamentali, tra cui che "maschio e femmina li creò". Ringraziò il suo bel Crocifisso leggendo che il Papa ricordava che il maschio e la femmina sono diversi, e che fare pasticci sulla natura vuol dire giocare a sostituirsi al Creatore. Leggendo Amoris Laetitia ritrovò anche quella vecchia enciclica di Paolo VI, Humanae Vitae. Da riscoprire. "Ma Signore," disse rivolto al Crocifisso, "se proprio dei pastori e dei teologi hanno voluto dimenticarla?".
Non era facile per un povero prete di montagna riuscire a districarsi fra gli oltre 350 paragrafi. Un "evento linguistico": così era stata definita l'esortazione apostolica da un cardinalone austriaco al momento della presentazione al mondo intero.
 "Allora don Camillo, sta leggendo il documento del Papa?", disse la Dosolina mentre spazzava la sagrestia. "Sì, ma è roba un po' difficile per me. Con gli "eventi linguistici" non ho gran dimestichezza, sa com'è, sono abituato a Cristo che parlava in modo semplice. Con gli "eventi linguistici", invece, finisce che due preti che parlano dallo stesso pulpito, a nome dello stesso Dio, li spiegano poi in modo differente". 
Don Camillo ebbe gran gusto nel leggere i capitoli biblici del testo, anche la riflessione sull'inno alla carità di S. Paolo. Trovò conferme di condanna all'aborto, alla contraccezione, all'eutanasia. 
Nessun cedimento all'equiparazione delle unioni tra persone dello stesso sesso con il matrimonio naturale. 
Un piccolo sussulto lo ebbe quando incontrò l'episodio evangelico dell'adultera, perché a lui risultava che Gesù la salutasse dicendole "Va' e non peccare più", mentre nel testo trovò scritto che "la invita ad una vita più dignitosa". "Don Camillo", disse il Crocifisso, "devi capire che è un evento linguistico". "Signore", rispose don Camillo, "sarà anche un nuovo linguaggio, ma Lei è salito in croce per togliere il peccato del mondo e questo non mi sembra un gran servizio reso, né a Lei, né all'adultera". "Don Camillo, abbi fede!", rispose il Crocifisso.
Quando don Camillo arrivò al capitolo 8 la lettura si fece più difficile, il povero prete cercava di capire dove si volesse andare a parare. "Dosolina", disse il giorno dopo all'emancipata perpetua, "Repubblica e il Tg1 si sbagliano di grosso, da nessuna parte si parla di comunione per i divorziati-risposati. C'è solo un gran parlare del fatto che non dobbiamo scomunicarli, né escluderli dalla vita della Chiesa. E noi non li abbiamo mai esclusi, né scomunicati".
"Ma lei deve leggere le note a piè di pagina!"
Le note erano scritte così piccole che don Camillo le aveva saltate, non leggeva una nota a piè di pagina dal 1960. D'altra parte nelle aie i contratti si facevano con una stretta di mano e i contadini sanno che quello che è scritto piccolo spesso è lì per tirarti una qualche fregatura.
Quella sera don Camillo lesse le note del capitolo 8 e capì che, forse, Repubblica e il Tg1 non avevano proprio tutti i torti. "Signore", disse rivolgendosi al Crocifisso, "se ho capito bene la nota 329 due divorziati-risposati, in certi casi, è bene che non resistano e che possono passare un po' di tempo avvinti come l'edera. Se ho capito bene le note 336 e 351 i due di cui sopra, magari sempre avvinti come l'edera, possono essere aiutati dai sacramenti a vivere meglio in grazia di Dio. Ma se ho capito bene, perdonatemi, qualcosa non mi torna. Questa cosa delle attenuanti e delle circostanze mi sembra un tantino complicata nel caso specifico, anche perché, se non lo capisce il fedele adultero che non può mangiare il Suo corpo (può capitare), beh, un povero prete gli deve pur spiegare che non va bene e alla fine non può dargli la comunione! Mi perdoni "Signore, io amo la Sua Chiesa e il Suo Vicario in terra, ma non capisco".
 "Don Camillo, non preoccuparti. Nel cuore dell'uomo, sia quello del penitente, che quello del ministro, guardo bene io".
 "Beh, Signore, nel dubbio io farò come abbiamo fatto fin qui. Perché se per creare una famiglia dobbiamo distruggerne un'altra c'è qualcosa che non va. Signore, anche Peppone si stupirebbe; in fondo lui ce l'ha con me e con i padroni, ma rispetta i Suoi precetti e non gli piacciono le furbate".
Il giorno dopo si presentò in canonica il Brusco. Un omaccione coi calli alle mani che faceva Brusco di nome e di fatto, uno di quelli che aveva sempre avuto un alto concetto della famiglia. Al punto che ne aveva sempre avute almeno due. Veniva in chiesa di tanto in tanto, e stava sempre in fondo.
 "Don Camillo, voglio confessarmi". "In nomine Patri, ...dimmi figliolo". "Ho tradito mia moglie, me ne sono andato e ho vissuto con un'altra. Mi ci è voluta una vita, ma chiedo perdono. Ho sentito che la Chiesa voglia accogliere tutti".
 "Bene, ma tu pensi di continuare come hai sempre fatto, oppure vuoi cambiare vita?"
"Voglio cambiare vita perché parlandone con la Dosolina mi ha detto che ora posso fare la comunione". 
"Ah, si... mi fa piacere. E cosa ti ha detto la nostra cara perpetua?"
"Beh, che adesso c'è l'integrazione e quindi si va tutti alla mensa del Signore. Lo ha sentito al Tg1".
"Certo, certo. Sono davvero felice che tu voglia venire alla mensa del Signore. Solo che nel frattempo sarebbe necessario che tu provassi a ben discernere le situazioni: e cioè che una cosa è il tuo santo desiderio, e un'altra la realtà che vivi e che contrasta oggettivamente con la natura del matrimonio e perciò con la legge di Dio. "Una sola carne" tu lo sei con tua moglie e basta; è una questione di amore vissuto nel rispetto di una promessa fatta davanti a Dio, che dice non osi separare l'uomo ciò che Lui ha unito. Perciò la Chiesa ti indica che con quella che non è tua moglie devi impegnarti a vivere come fratello e sorella".
"Don Camillo, la Dosolina non si era spiegata molto bene. Però lei mi ha fatto riflettere. Mi sono rallegrato la giovinezza e l'età adulta con l'amore, ho messo su due famiglie, ma in fondo ho sempre tradito l'Amore. Sono un uomo a cui piace agire alla luce del sole anche di sera e detesto sotterfugi, perciò non voglio sconti. Con il peccato si lotta, non si scende a patti. Farò come mi dice".
"Ego te absolvo... e ricordati: io sono sempre qui".
Quel pomeriggio arrivò al solito la Dosolina. "Allora don Camillo ha finito di leggere Amoris Laetitia?"
"Quasi, ma oggi è venuto il Brusco che mi ha fatto un ottimo riassunto".
Don Camillo fu anche rasserenato ripensando al paragrafo 3 dell'esortazione, dove aveva letto: "Non tutte le discussioni dottrinali, morali o pastorali devo essere risolte con interventi del magistero". A quel punto capì che non doveva angustiarsi troppo per eventuali affermazioni di Amoris Laetitia in contrasto con la natura del matrimonio e con il Magistero della Chiesa. Quella notte poté dormire più tranquillo.

Lorenzo Bertocchi, Amoris Laetitia secondo don Camillo
Il Timone, maggio 2016 (n.153)

Una volta suonata la nostra ultima ora,
cessati i battiti del nostro cuore, tutto sarà finito per noi,
ed il tempo di meritare e quello pure di demeritare.
Tali e quali la morte ci troverà,
ci presenteremo a Cristo giudice.
I nostri gridi di supplica, le nostre lacrime,
i nostri sospiri di pentimento,
che ancora sulla terra ci avrebbero guadagnato il cuore di Dio,
avrebbero potuto di noi fare,
con l'aiuto dei sacramenti, da peccatori dei santi,
oggi più a nulla valgono;
il tempo della misericordia è trascorso,
ora incomincia il tempo della giustizia.

San Pio da Pietrelcina

facies

maxischerno

hodie crux ficta est et saeculum sanctificat


Osservazioni, sollecitate da cari amici, di ordine (teo)logico (o teo-grammaticale), dedicate a quelli che vogliono far dire al Papa quello che non dice. E di cui, loro, sono convinti.

1. La lingua madre del Papa è lo spagnolo. 
Lui ama parlare a braccio e questo lo espone alla "logodrammatica" della comunicazione.
In ogni caso, l'intero discorso rende giustizia alla bontà del messaggio.

2. Il Papa ha detto: "I tempi cambiano e noi cristiani dobbiamo cambiare continuamente" (fonte).
I tempi cambiano: senza dubbio.
Noi cristiani dobbiamo cambiare continuamente: incontrovertibile: la metanoia, la conversione sono tanto più vere quanto più costantemente in atto.

3. Ma se la congiunzione (I tempi cambiano e noi cristiani dobbiamo cambiare continuamente) sta per un "dunque", stabilendo una consecutio tra la prima affermazione e la successiva, allora non si tratta più di metanoia o conversione ma di mondanizzazione. Dice il Signore: "Essi [i discepoli di Lui] non sono del mondo, come io non sono del mondo" (Gv. 17,16).

Invece e infine, STABAT MATER.



O Crux non me dimittas errare sicut ovem non habentem pastorem.
San Gregorio Magno, citato da Girolamo Savonarola in Del lume della fede 

dissentire per sentire

József Mindszenty (Csehimindszent, 29 marzo 1892 – Vienna, 6 maggio 1975) è stato un cardinale e arcivescovo cattolico ungherese. Fu primate di Ungheria, venne nominato cardinale da papa Pio XII nel 1946.
Nacque a Mindszent, un villaggio della campagna ungherese, da János Pehm e da Borbála Kovács; nel 1941 cambiò cognome prendendolo dalla città natale. Aveva cinque fratelli, ma solo due sorelle sopravvissero all'infanzia. Studiò al seminario di Szombathely e fu ordinato presbitero il 12 giugno 1915. Dopo la prima guerra mondiale e il crollo dell'Impero asburgico, presero il potere in Ungheria i comunisti di Béla Kun. Nel 1919 Mindszenty, in quanto sacerdote, fu arrestato.
Il 3 marzo 1944 fu nominato vescovo di Veszprém; venne consacrato il 25 marzo dello stesso anno nella cattedrale di Strigonio. Fra il 1944 e il 1945 fu nuovamente imprigionato, questa volta dai nazisti. Il 2 ottobre 1945 fu promosso arcivescovo di Strigonio e primate d'Ungheria. Papa Pio XII lo elevò al rango di cardinale nel concistoro del 18 febbraio 1946.
Intanto l'Ungheria era diventata un Paese satellite dell'Unione Sovietica. La Chiesa cominciò ad essere perseguitata. Secondo una tradizione secolare, il principe-primate d'Ungheria è rivestito sia di funzioni ecclesiastiche sia di compiti civili (per esempio incorona il re e lo sostituisce in caso d'impedimento). Per i comunisti Mindszenty fu un simbolo da abbattere.
Il 26 dicembre 1948 fu prelevato in episcopio dalla polizia ed arrestato. Sottoposto a torture ed umiliazioni, fu picchiato per giorni, drogato e costretto ad ascoltare oscenità: il tutto per spingerlo a confessare di aver commesso reati contro il regime. Dopo un processo-farsa, l'anno successivo fu condannato all'ergastolo. L'arresto del cardinale ebbe grande risonanza nelle cronache e fu considerato una prova della natura antireligiosa e oppressiva del comunismo.
Tra carcere e arresti domiciliari, Mindszenty trascorse otto anni, durante i quali non poté leggere testi sacri ed ebbe il divieto di inginocchiarsi; le guardie ricevettero l'ordine di interromperlo se cominciava a recitare preghiere. Durante la prigionia si ammalò di tubercolosi, a causa del duro regime carcerario. Il 1956 fu l'anno dell'insurrezione popolare. Il cardinale fu liberato dagli insorti, ma ben presto si rese conto che i carri armati sovietici avrebbero ristabilito il vecchio regime. Si rifugiò nell'ambasciata statunitense di Budapest. Non poté partecipare ai conclavi del 1958 né del 1963.
Mindszenty si oppose sempre alle trattative tra la Chiesa e i governi comunisti, affinché apparisse chiaramente che la Chiesa subiva una dura repressione e che non avrebbe accettato compromessi. La possibilità di denunciare abusi e violazioni dei diritti umani compiuti dal regime comunista, non solo aumentava il prestigio morale della Chiesa, ma evidenziava un malcontento verso il governo. Prova della sua irremovobilità fu la lettera di protesta indirizzata al Segreterio di Stato della Santa Sede Jean Villot contro il metodo scelto per le nomine dei vescovi nei paesi governati dai comunisti, perché erano possibili solo le nomine gradite ai regimi.

Negli anni sessanta la posizione della Santa Sede verso i regimi comunisti subì un mutamento. Fu inaugurata una politica conciliante. Responsabile del dialogo con i Paesi del Blocco dell'Est fu il cardinale Agostino Casaroli. Midszenty si oppose nettamente a questa politica. Incontrò più volte il cardinale Casaroli, che pur considerando l'atteggiamento di Mindszenty un pesante ostacolo per la riuscita della sua Ostpolitik, non poté non ammirare la grandezza morale, spirituale e di forza d'animo e sopportazione del cardinale ungherese. Per molti anni Mindszenty rifiutò l'invito del Vaticano a trovare riparo a Roma. Ma col tempo il cardinale era diventato un ospite scomodo anche per gli americani. Dopo varie trattative, nel 1971, con l'interessamento dell'allora presidente Nixon, lasciò l'ambasciata USA e raggiungese la Santa Sede.
Negli anni successivi Mindszenty ricevette grandi amarezze dalla politica vaticana. Scelse come residenza Vienna, presso il collegio Pázmámy, un'antica istituzione ungherese. Dalla capitale austriaca effettuò numerosi viaggi presso le comunità ungheresi sparse nel mondo per far sentire la sua vicinanza e per descrivere la realtà del comunismo. Ma il regime di Budapest ottenne dal Vaticano il suo silenzio. Il 1º novembre 1973 papa Paolo VI chiese le sue dimissioni dalla cattedra primaziale di Strigonio. Il cardinale oppose un rispettoso ma netto rifiuto. Il 18 novembre dello stesso anno papa Montini sollevò il cardinal Mindszenty dall'incarico.
Il 6 maggio 1975 morì a Vienna per un arresto cardiaco susseguente ad un intervento chirurgico. Nel 1991 le sue ceneri vennero solennemente trasportate da Mariazell a Strigonio, città nella quale fu arcivescovo, per essere tumulate nella cripta della cattedrale di Nostra Signora e di sant'Adalberto.

Il 22 ottobre 1996 è stata avviata la causa di canonizzazione.

Bianchi torni sui banchi

"Nella chiesa c'è buona volontà ma poi della donna si hanno immagini irreali: il modello di Maria, vergine e madre, che non può essere il riferimento per una promozione della donna nella chiesa; l'idea, insinuata per moda, che la Madonna sia più importante di San Pietro, idea insipiente come dire che la ruota in un carro è più importante del volano...".

Enzo Bianchi, intervistato da Repubblica

Sentiamo la voce degli "insipienti", secondo Bianchi:

Papa Francesco: «La Chiesa è donna e Maria è molto più importante degli apostoli».
12 giugno 2015


Papa Benedetto XVI: «...risalta in modo particolare il principio petrino della Chiesa, alla luce dell’altro principio, quello mariano, che è ancora più originario e fondamentale... L’icona dell’Annunciazione, meglio di qualunque altra, ci fa percepire con chiarezza come tutto nella Chiesa risalga lì... Tutto nella Chiesa, ogni istituzione e ministero, anche quello di Pietro e dei suoi successori, è "compreso" nello spazio pieno di grazia del suo "sì" alla volontà di Dio».
25 marzo 2006


San Giovanni Paolo II: «La Chiesa vede in Maria la massima espressione del “genio femminile” e trova in Lei una fonte di incessante ispirazione».
29 giugno 1995


San Giovanni Paolo II: «“Chiamando solo uomini come suoi apostoli, Cristo ha agito in un modo del tutto libero e sovrano. Ciò ha fatto con la stessa libertà con cui, in tutto il suo comportamento, ha messo in rilievo la dignità e la vocazione della donna, senza conformarsi al costume prevalente e alla tradizione sancita anche dalla legislazione del tempo”.

D'altronde, il fatto che Maria Santissima, Madre di Dio e della Chiesa, non abbia ricevuto la missione propria degli Apostoli né il sacerdozio ministeriale mostra chiaramente che la non ammissione delle donne all'ordinazione sacerdotale non può significare una loro minore dignità né una discriminazione nei loro confronti».
22 maggio 1994


Beato Paolo VI: «Cristo stesso addita nella Madre il modello della Chiesa.

Ciò che deve ancor più stimolare i fedeli a seguire gli esempi della Vergine santissima, è il fatto che Gesù stesso, donandoci lei per Madre, l'ha tacitamente additata come modello da seguire; è, infatti, cosa naturale che i figli abbiano i medesimi sentimenti delle madri loro e ne rispecchino pregi e virtù.
13 maggio 1967


Flammis urar ne succénsus,
per te, Virgo, sim defénsus
in die iudícii.

Missa pro Synodo

Col nome di “Sinodo dell’adulterio” è entrata nella storia della Chiesa un’assemblea di vescovi che, nel IX secolo, volle approvare la prassi del secondo matrimonio dopo il ripudio della legittima moglie. San Teodoro Studita (759-826), fu colui che con più vigore vi si oppose e per questo fu perseguitato, imprigionato e per ben tre volte esiliato...


Il “non licet” (Mt 14, 3-11) che san Giovanni Battista oppose al tetrarca Erode, per il suo adulterio, risuonò più volte nella storia della Chiesa. San Teodoro Studita, un semplice religioso che osò sfidare il potere imperiale e le gerarchie ecclesiastiche del tempo, può essere considerato uno dei protettori celesti di chi, anche oggi, di fronte alle minacce di cambiamento della prassi [? Stimato prof., se si trattasse di una questione di prassi, la liquiderei bollandola di vuoto archeologismo,  ma c'è la Parola di Gesù in gioco...]cattolica sul matrimonio, ha il coraggio di ripetere un inflessibile non licet.
continua

la gatta frettolosa




Divorzio breve? Nullità matrimoniale breve?
Lettura consigliata, oltre la pagina evangelica di Marta e Maria: L'arte della lentezza di J.-L. Servan-Schreiber

Burke noted that similar proposals to alter the process along the lines that were suggested at the Synod (and now implemented in the Motu Proprio) were also proposed before the 1983 reformation of canon law and were rejected by Pope St. John Paul II. Moreover Burke noted that the Vatican already attempted a lessening of the procedures for the United States in the 70s and early 80s, leading to an impression of “Catholic divorce.”

lifesitenews.com

Nota: Burke mi piace da quando è stato defenestrato:
Ah! Che bell'aria fresca...
Ch'addore 'e malvarosa...

se


Fallacies do not cease to be fallacies because they become fashions.
G. K. Chesterton

senza Avvenire

Spettabile redazione di BastaBugie[.it],
ho inviato la seguente mail all'ufficio abbonamenti di Avvenire.
La inoltro anche a voi nel caso riteniate utile darle rilievo:

Salve sono il Prof. Ferrari dell'Istituto "G. Galilei" di Mirandola (Modena), con la presente vorrei recedere dall'abbonamento a 10 numeri di Avvenire in corso gli ultimi tre anni per il progetto "un quotidiano in classe", perciò La prego di cancellare il mio nome dai referenti per la diffusione del vostro quotidiano.
Le motivazioni sono di carattere culturale e pastorale: il progressivo impoverimento della testata dal punto di vista cristiano e ideale la rende solo uno dei tanti giornali quotidiani, appiattito sempre più sulla cronaca e sul sociale, ormai incapace di veicolare un chiaro e fedele messaggio Evangelico e di retta dottrina. Di conseguenza meglio proseguire il progetto con testate di maggiore rilevanza nazionale, che inevitabilmente da questo punto di vista sono più approfondite ed esaurienti.
L'amarezza di tali considerazioni da parte mia e dei docenti di area cattolica segue lo stupore nell'accorgerci di una progressiva deriva verso il "politicaly correct" che ha avuto recentemente una sempre maggiore riprova nella marginalizzazione delle questioni etiche e culturali Cattoliche, in particolare relative alla difesa della Vita umana e della sua dignità dal concepimento alla morte naturale, alla difesa della famiglia e del matrimonio cristiano. 
Leggendo il vostro giornale si percepisce sempre maggiormente una connivenza con la mentalità dominante e con le asserzioni delle nuove aberranti ideologie omosessualiste, gender-frendly e libertine anche nel linguaggio giornalistico, che si adegua a parlare di presunti nuovi "diritti" e conseguenti battaglie ideologiche mentre risulta evidente un sempre più assordante silenzio sulle iniziative ecclesiali e non, anche le più rilevanti, che rivelerebbero facilmente la pericolosità e l'ipocrisia di tali posizioni.
L'assoluta marginalizzazione, nel vostro giornale di oggi, dell'imponente e pacifica manifestazione di ieri in Piazza S. Giovanni a favore della famiglia e della libertà dell'educazione dei figli, rispetto alla rilevanza data ad altre notizie di ben più modesta importanza o di scarso valore, non diversamente da come fanno tutti gli altri quotidiani (fatto abituale e che non desta stupore alcuno, da parte di testate tendenziose e al servizio dei poteri "forti") è solo la goccia finale... 
Anche nel dibattito ecclesiale Sinodale il giornale è scorrettamente muto sugli interventi di Pastori e Teologi di altissimo spessore e stima universale ma più fedeli al Vangelo come Mons. Muller, Burke, De Paolis, Mons. Caffarra, Mons. Bagnasco, Mons. Negri e tanti altri, mentre si dà ampio spazio a favore di un'unica, benché minoritaria, voce vicina al pensiero omologante di quella che lo stesso Papa Francesco definisce in diverse occasioni "colonizzazione ideologica" paragonandola esplicitamente a quella che nelle scuole Fascismo e Nazismo fecero con i balilla o la gioventù Hitleriana (intervista concessa sul volo di ritorno dal viaggio nelle Filippine, sulla quale, ad esempio, Avvenire ha taciuto), o di tanti altri interventi del Pontefice che ribadiscono chiaramente tali ideali (ad es. 29-30 maggio scorso sull'aborto).
La vostra testata dà ampio spazio alla voce di ben pochi prelati spesso di secondaria importanza o di scarsa preparazione nei temi etici, quando non di dubbia fedeltà alla Chiesa (vedi i trascorsi burrascosi di Kasper che non incorse in scomunica solo per eccesso di prudenza dei precedenti pontefici) ma osannati dai media tradizionalmente ostili alla Chiesa Cattolica e non corrispondente affatto al pensiero delle famiglie cristiane e dei credenti (vox populi...). 
Che tale tendenziosa pratica sia presente anche nella testata cosiddetta "dei Vescovi" è per un credente sincero una ferita molto dolorosa.
Ciò è molto grave in quanto contribuisce all'attuale mistificazione che tende a formare anche tra i credenti una mentalità distorta, incapace di una efficace critica costruttiva nei confronti del secolo presente, che sia, come in passato, al servizio della Verità con la "V" maiuscola, basata sul Vangelo e sul bimillenario tesoro del Magistero Ecclesiale, che su tutto ciò è ben più rigoroso e chiaro di quanto non si voglia far credere.
"Chi si vergognerà di Me davanti agli uomini, Io mi vergognerò di lui davanti agli angeli di Dio" (Lc 12, 8-9)
Questa lettera non necessita di risposta via mail: vano sarebbe il desiderio di vederla pubblicata per intero nella posta al vostro direttore...
Ciò dovevo alla mia coscienza, in nome della correzione fraterna (Rm 15,14), senza malizia, con l'augurio di una proficua guarigione spirituale.

Prof. Ferrari Manlio - Bomporto (Mo)

highlander

Sono passati diversi giorni da quando nella diocesi di Livorno un sacerdote si è suicidato. E non è il primo prete a uccidersi. Drammi che non verranno mai compresi se non si entra nel loro vissuto.

 Di fatto c’è una grande scollatura tra la vita di un ecclesiastico e la società civile. I preti, per la maggior parte, vivono completamente soli senza avere nessuno accanto e molto spesso abbandonati a se stessi. La gente, il popolo difficilmente comprende il proprio pastore, il suo stato d’animo; anzi usualmente lo vedi celere a criticare, senza risparmiargli nulla. Nei confronti dei religiosi si è diventati iper intransigenti, a volte spietati.
La crisi di valori della società poi, ha capovolto anche il modello sacerdotale, riducendolo da punto di riferimento che era, a un odierno facchino della fede, utile a sbrigare i compiti necessari per definirsi un cristiano.

Le legittime aspettative che si devono avere verso un consacrato si sono trasformate in intolleranti e assurde pretese sul suo modo di essere, quasi come se dovesse forzatamente risultare un supereroe. Di fatto la categoria del prete è sconosciuta ai molti, a iniziare dai cattolici. La gente ignora l’enorme difficoltà che può avere un sacerdote nel condurre una vita affettivamente serena mantenendosi in “grazia di Dio”, cercando sempre di mediare con grande zelo e amorevolezza pur dovendo rispettare quelle giuste distanze affinché esso sia per tutti e non di qualcuno.

E quando dovesse cadere, sbagliare ecco tutti pronti a metterlo alla gogna; senza pietà, a partire dai propri fedeli e magari anche dai colleghi. Esempi tristi e disdicevoli per cui mentre si dice di credere nel Vangelo, poi la realtà continua a essere un’altra cosa.

Per i sacerdoti non si prega più e non c’è più stima, tanto meno rispetto. Molte realtà ecclesiali utilizzano il prete solo per le liturgie, stile “usa e getta”, e quando ha terminato di svolgere quelle funzioni che può solo lui amministrare, ecco che non serve più.

Ci sono anche Vescovi che hanno dimenticato le difficoltà del vivere da sacerdoti diventando intransigenti, e non sono pochi coloro che “non sentono l’odore delle proprie pecore”, espressione più volte ripetuta da Papa Francesco. Ma il presbitero è una persona come le altre, che ha bisogno di sentirsi amata e apprezzata specialmente dai propri punti di riferimento. Quando ciò non avviene ecco che potrà diventare facile preda del maligno e dei suoi seguaci. La più grande vittoria di satana infatti è distruggere un’anima consacrata e sacerdotale, perché un singolo discepolo di Gesù può recuperare tante pecorelle smarrite e collaborare per la salvezza di tanta umanità.

I fedeli, almeno coloro che si dichiarano cattolici, dovrebbero pregare e sostenere i propri pastori al di là dei loro umani difetti. È necessario ricordare la presenza sacramentale che c’è nel sacerdote alter Christus. In un mondo desacralizzato la presenza del prete è patrimonio prezioso in quanto custode di Dio, della storia sacra e indicatore dell’infinito. Ormai sembra un discorso da sognatori… Dicono che le grandi lobby di potere vogliano annullare tutte le religioni a partire da quelle monoteiste. Il primo passo è allontanare il popolo dai suoi ministri.

don Aldo Bonaiuto, Come uccidere un prete, In terris 11.6.2015

io infatti ti amo



«I miei nemici ti dicono che io non ti amo e che sparlo di te, ma mentono. Io infatti ti amo, come devo amare un Padre e un signore. Te vivente, non voglio avere altro pontefice, come assieme a molti altri ti ho promesso. Ascolto però il Salvatore nostro che mi dice: “Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me”. “(…) Devo dunque amare te, ma più ancora devo amare Colui che ha fatto te e me (Mt. 10-37)... 
Abbiamo i canoni, abbiamo le costituzioni dei santi Padri, giunte dai tempi apostolici fino a te. Bisogna camminare per la via regia [della Tradizione] e da essa non deviare in alcuna parte»
(Lettera Inimici mei, in PL, vol. 163, col. 463 A-D).



Va sottolineato il fatto che coloro che con più fermezza resistettero al Papa che deviava dalla fede furono proprio i più ardenti difensori della supremazia del Papato. I prelati opportunisti e servili dell’epoca, si adeguarono al fluttuare degli uomini e degli eventi, anteponendo la persona del Papa al Magistero della Chiesa. San Bruno di Segni, invece, come altri campioni dell’ortodossia cattolica, antepose la fede di Pietro alla persona di Pietro e redarguì Pasquale II con la stessa rispettosa fermezza con cui Paolo si era rivolto a Pietro (Galati 2, 11-14).

Nel suo commento esegetico a Matteo 16, 18, Bruno spiega che il fondamento della Chiesa non è Pietro, ma la fede cristiana confessata da Pietro.
Cristo infatti afferma che edificherà la sua Chiesa non sulla persona di Pietro, ma sulla fede che Pietro ha manifestato dicendo: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». A questa professione di fede Gesù risponde: «è sopra questa pietra e sopra questa fede che edificherò la mia Chiesa» (Comment. in Matth., Pars III, cap. XVI, in PL, vol. 165, col. 213). La Chiesa elevando Bruno di Segni agli onori degli altari suggellò la sua dottrina e il suo comportamento.
continua

Nel Martirologio Romano, 18 luglio, n. 9: «A Segni nel Lazio, san Bruno, vescovo, che molto lavorò e soffrì per il rinnovamento della Chiesa...».

a chi più sa più spiace

“Il primo strumento di marketing della storia del mondo è stato la campana – ha esordito Periscinoto – ed era il migliore. Quando suonava, non solo raggiungeva il 90% degli abitanti, ma ne modificava il comportamento personale.


Voi avete poi inventato uno strumento che è ancora utilizzato nel marketing commerciale. Si chiama ‘display’. Il display è qualcosa che utilizziamo per enfatizzare, per proporre con forza qualcosa al pubblico. Quando tutte le case erano basse, voi costruivate chiese con torri e con campanili sei volte più alti. Questo permetteva l’immediato riconoscimento della chiesa: eccola!



“Voi avete poi inventato il primo logotipo della storia. Il logo è un simbolo utilizzato per far sì che il marchio sia facilmente riconoscibile. Il vostro era il migliore: la Croce. Questo logotipo era collocato sempre sopra il punto più alto e visibile del display. Nessuno poteva sbagliarsi: quella era la chiesa cattolica! 
continua a leggere

straBiliante


"Un logo per Firenze"
in occasione del V Convegno ecclesiale italiano.





Ecco il mio bozzetto:

Questa ipotesi di logo esalta due elementi, figurativi e concettuali - presenti, nel raggio di qualche metro, sull'Arengario e sulla facciata di Palazzo Vecchio (Firenze) - che potrebbero sintetizzare al meglio il tema e i contenuti-chiave del V Convegno delle Chiese d'Italia.
Il David di Buonarroti, tra le massime espressioni della cultura umanista, qui si incontra con il monogramma bernardiniano, il simbolo di Cristo forse più capillarmente diffuso in tutta la Toscana: è nella luce di questo sole che muove i suoi passi l'uomo (rinascimentale); è da questo sole che promana la nuova creazione; è in questo sole che si rinvengono i tratti e la somiglianza del figlio nel Figlio; è in questo sole che attinge forza (mano-braccio) e senso l'agire umano...

hangar


Può capitare che venga in mente il compagno Stalin partecipando a una messa? A me è capitato: in una chiesa di “architettura“ (il nome di quest’arte illustre è qui eccessivo, le virgolette sono di rigore), di  “architettura“, dunque, contemporanea, in un trionfo di cemento armato a vista, alluminio, vetro, luci al neon, arredi  astratti   e, sul tetto, una campana sorretta da un traliccio industriale in ferro. Il tutto all’insegna di un pauperismo demagogico , da “Chiesa dei poveri“ di sessantottina memoria.  Di questi orrori  tutti ne conosciamo non pochi esemplari, quindi si sarà capito di che cosa parlo.


Ebbene, mentre la messa si celebrava, una maliziosa distrazione mi ha portato a pensare alla metropolitana di Mosca. Tra le tante ferrovie sotterranee del mondo, questa  è un unicum stupefacente : mentre ovunque si bada alla funzionalità, con fermate di semplice servizio, così non è nella capitale russa. Qui, ogni stazione – l’una diversa dall’altra –  è un trionfo di colonne, capitelli , mosaici, pitture murali, stucchi , statue in marmo e bronzo, enormi lampadari in metalli pregiati, soffitti affrescati , vetrate colorate. Non a caso, questi luoghi  sono protetti dalle autorità  locali  come opere d’arte . La sensazione, entrandovi , è di essere capitati non certo in una semplice stazione di trasporto di massa, bensì in una fastosa cattedrale sotterranea.



In  effetti,  è proprio questo che voleva ottenere Stalin quando, all’inizio degli anni Trenta del secolo scorso, convocò i migliori architetti del regime  ai quali fece un discorsetto  di cui conosciamo  i contenuti dai  documenti dell’epoca, un tempo sepolti in archivi inaccessibili e ora, dopo il  crollo inglorioso dell’impero, consultabili dagli  studiosi. Disse, in sostanza, il  despota a quei professionisti: << Le grandi città del capitalismo hanno tutte una rete metropolitana. E’ ora che l’abbia  anche la capitale dei Soviet . Io, però, ne voglio una del tutto speciale, dove ciascuna stazione sia, senza badare a spese, tale da stupire ed affascinare chi la frequenterà . Voglio che non si tratti solo di un capolavoro di ingegneria ma anche di  un capolavoro d’arte, con un fasto da lasciare a bocca aperta>>. Come è ben noto, dargli ragione senza fiatare e obbedire   con  zelo servile, era  il solo modo di salvare la pelle quando si era in balia sua e delle sue feroci polizie segrete. Nessuno degli architetti  convocati, dunque, osò fiatare ma il dittatore, nella sua magnanima condiscendenza, volle dare risposta alla domanda che lesse sul volto degli  ascoltatori. Spiegò, dunque: <<So che, dentro di voi,  vi chiedete per quale ragione vi ordini di moltiplicare i costi dell’opera e non solo per gli arredi e le opere d’arte ma anche perché desidero che lo scavo sia gigantesco , voglio che ogni stazione sia vasta come una cattedrale. E’ proprio a questo che penso: alle cattedrali. Come sapete, abbiamo strappato i popoli dell’Unione  Sovietica alla superstizione religiosa, abbiamo chiuso o distrutto le chiese, abbiamo trasferito nei magazzini dei musei le icone, fuse le campane , trasformate in monete gli ori degli oggetti di culto. Ma so che i lavoratori sentono nostalgia dei tempi in cui, almeno una volta la settimana, potevano lasciare la bruttura delle loro case e, nello splendore delle chiese, in lunghe liturgie , potevano essi pure essere circondati di bellezza, quasi come i re nei loro palazzi. Ecco:  voglio venire incontro a questa nostalgia, voglio contrastarla permettendo agli operai di godere,  due volte al giorno, di una bellezza che compensi quella perduta. Andando e tornando dal lavoro sembrerà loro di frequentare le cattedrali più belle, quelle chi abbiamo chiuso o abbattuto. Anche l’uomo nuovo comunista ha bisogno di bellezza, noi gliela daremo non nelle anacronistiche chiese ma nel sottosuolo di Mosca, nelle stazioni della metropolitana della capitale del comunismo mondiale >>.



Stalin, come si sa, era stato a lungo  seminarista della Chiesa ortodossa della Georgia , dunque se ne intendeva : sapeva che (a differenza di quanto dimenticano da qualche decennio  tanti, troppi   “cattolici  socialmente impegnati “) sapeva che i poveri non solo non si sono mai scandalizzati , in nessun tempo e in nessun luogo, della ricchezza , magari del fasto delle chiese ma l’ hanno sempre sentita  come un loro diritto. Il diritto di godere essi pure di una bellezza   non riservata ai privilegiati bensì aperta a tutti ; il diritto, almeno un’ora  alla settimana, di sentirsi circondati di opere d’arte e di oggetti di gran pregio . Oggi, invece, ecco la nostra  situazione: lo Stato non demolisce più le chiese ma  nelle periferie, vescovi ,  preti, religiosi ne costruiscono  ancora di nuove. Partorendo, nella maggioranza dei casi , quegli orrori repellenti che sappiamo,  dove la bellezza è assente non solo per incapacità di architetti e mancanza di artisti veri (c’è anche questo)  ma anche , troppo spesso, per partito preso, perché così vuole certa ideologia clericale. Ai russi , almeno, Stalin dava per consolazione delle stazioni-cattedrale, mentre a noi restano soltanto, più che dei templi, dei “luoghi di dialogo, di confronto, di socializzazione “. Funzioni per le quali ciò che ci vuole è un hangar, un capannone, un’aula disadorna.


Vittorio Messori, Vivaio -Dicembre 2014


Brutta come una bestemmia
Lo dico subito, a scanso di equivoci: sarà stato che l'ho vista per la prima volta di sera, sarà stato l'effetto delle luci, sarà stato che qualcosa del genere mancava in città, ma quell'edificio mi è piaciuto sin dal primo momento.
Però: il guaio è che arriva con oltre 60anni di ritardo; il guaio è che non ha niente a che fare con una chiesa; il guaio è che rappresenta "uno dei più recenti esempi di arretratezza e provincialismo in fatto d'arte e architettura cattolica".
Pietro Pagliardini, aretino: "A me sembra il padiglione italiano all'Expò di Shangai. Possibile che per progettare una chiesa si tragga "ispirazione" da un padiglione fieristico? E' chiaro che la committenza desidera questi progetti e gli architetti si adeguano. Non voglio giustificare gli architetti, però è evidente che la CEI chiede gli stessi requisiti del Ministero competente all'Expò.
La domanda che mi pongo a questo punto è se siano necessarie, e a chi, tutti questi nuovi fabbricati chiamati chiese. Mi domando perchè dilapidare una parte dell'8 per mille in questi progetti e se non sia meglio chiedere che quei soldi vengano spesi per la manutenzione e il restauro delle tante belle chiese esistenti. Mi domando se la CEI non si stia comportando esattamente come i comuni che invece nella manutenzione "investono", cioè sperperano, in nuovi, assurdi progetti utili solo a fini elettorali. Mi domando se quest'anno devolverò l'8 per mille alla chiesa cattolica come ho sempre fatto e mi rispondo che non sarà affatto probabile".

ad ostium


No, non si tratta del giochino "trova le differenze" e neppure di un nostalgico quanto acritico "ma com'eran belle prima le aule della Gregoriana"...
E' che quando sono stato in università, a gennaio, tra i sentimenti di gioioso stupore per tanto opportuno restyling si son fatte largo, nella sopravvenuta ressa emozionale, tante altre suggestioni e considerazioni.
Due per tutte. La prima di ordine storico-economico, l'altra di carattre sostanziale.
Che fine han fatto le vecchie cattedre e la monumentale "cornice" che le accompagnava?
Che il Crocifisso abbia perso la sua posizione centrale nell'aula per guadagnare la prossimità alla porta è solo una questione di riassetto estetico-logistico?

ascolta, o cielo! affliggiti, o terra!

“Nell’anno 1170 dopo la nascita di Cristo ero per un lungo tempo malata a letto. 
Allora, fisicamente e mentalmente sveglia, vidi una donna di una bellezza tale che la mente umana non è in grado di comprendere. La sua figura si ergeva dalla terra fino al cielo. Il suo volto brillava di uno splendore sublime. Il suo occhio era rivolto al cielo. Era vestita di una veste luminosa e raggiante di seta bianca e di un mantello guarnito di pietre preziose. Ai piedi calzava scarpe di onice. 
Ma il suo volto era cosparso di polvere, il suo vestito, dal lato destro, era strappato. Anche il mantello aveva perso la sua bellezza singolare e le sue scarpe erano insudiciate dal di sopra. Con voce alta e lamentosa, la donna gridò verso il cielo: ‘Ascolta, o cielo: il mio volto è imbrattato! Affliggiti, o terra: il mio vestito è strappato! Trema, o abisso: le mie scarpe sono insudiciate!’

E proseguì: ‘Ero nascosta nel cuore del Padre, finché il Figlio dell’uomo, concepito e partorito nella verginità, sparse il suo sangue. Con questo sangue, quale sua dote, mi ha preso come sua sposa.

Le stimmate del mio sposo rimangono fresche e aperte, finché sono aperte le ferite dei peccati degli uomini. Proprio questo restare aperte delle ferite di Cristo è la colpa dei sacerdoti. Essi stracciano la mia veste poiché sono trasgressori della Legge, del Vangelo e del loro dovere sacerdotale. Tolgono lo splendore al mio mantello, perché trascurano totalmente i precetti loro imposti. Insudiciano le mie scarpe, perché non camminano sulle vie dritte, cioè su quelle dure e severe della giustizia, e anche non danno un buon esempio ai loro sudditi. Tuttavia trovo in alcuni lo splendore della verità’.

E sentii una voce dal cielo che diceva: ‘Questa immagine rappresenta la Chiesa. Per questo, o essere umano che vedi tutto ciò e che ascolti le parole di lamento, annuncialo ai sacerdoti che sono destinati alla guida e all’istruzione del popolo di Dio e ai quali, come agli apostoli, è stato detto: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura»’ (Mc16,15)”.

Ildegarda di Bingen, Lettera a Werner von Kirchheim e alla sua comunità sacerdotale (PL 197, 269ss).

dal cristianesimo (? si fa per dire) emotivo ai cristiani (si fa per piangere) demotivi

Essendo nato alla fine del 1950 dovetti fin da piccolo imparare a memoria il Catechismo detto di san Pio X, quello a domande e risposte. Era un libretto minuscolo e mandarlo a mente era agevole. Oggi, data la mole del vigente Catechismo, ciò sarebbe impossibile, anche nella versione «Compendio».

Nel vecchio Catechismo c’era tutta la dottrina in pillole di facile trangugio. Nel nuovo c’è ancora tutta, sì, ma talmente diluita nelle chiacchiere da giustificare il fatto che pochi l’abbiano letto. L’ignoranza religiosa oggi è enorme anche in moltissimi sedicenti credenti. Talvolta, nelle discussioni con qualcuno di questi, tornerebbe utile potergli dire: tiè il catechismo, lèggitelo e poi parliamo, perché non sai nemmeno di cosa stiamo parlando. Ora, una cosa del genere si poteva fare col libretto di san Pio X, non certo col voluminoso Compendio del monumentale Catechismo. Un libriccino scritto largo e a domande-risposte numerate, il tempo per scorrerlo lo trova anche il più svogliato. Non così per un libro-trattato che, oggi come oggi, forse nemmeno i preti, affaccendati come sono, hanno letto. 
Ebbene, tra quelle antiche norme d’inizio Novecento c’era anche l’obbligo, per i fedeli, di «confessarsi almeno una volta all’anno» e «comunicarsi almeno a Pasqua». Il che fa capire che, a quei tempi, i fedeli erano riottosi alla confessione e alla comunione, sennò non ci sarebbe stato bisogno di scongiurarli di provvedere «almeno» ogni dodici mesi. Smisi di andare a Messa contagiato dal clima degli anni Sessanta, ma da bambino ci andavo e ricordo bene che, per poter accedere alla Comunione, bisognava essere digiuni dalla mezzanotte. E questo era un motivo in più, per quanti a messa ci andavano solo la domenica (e a quella principale di mezzogiorno, cioè quasi tutti), per astenersi dalla Comunione. 
Per venire incontro alle istanze dei tempi che mutavano, la Chiesa accorciò il digiuno eucaristico a un’ora, consentì la comunione in piedi (prima bisognava inginocchiarsi alla balaustra attorno all’altare, perché il prete celebrava spalle-al-popolo) e poi anche in mano. Ero ormai un giovanotto (ma sempre agnostico) quando mi stupivo nel vedere in tivù certe cerimonie da stadio con preti sparpagliati sulle gradinate gremite e intenti a distribuire ostie a chiunque tendesse le mani. Mi chiedevo: ma tutta quella gente si sarà confessata? Infatti, ai miei tempi la chiesa domenicale era, sì, piena, ma a far la comunione erano in pochi. Oggi vedo la chiesa domenicale piena e tutti i presenti mettersi in fila per la comunione. Tutti. 
Giustamente ha fatto notare il vaticanista de L’Espresso, Sandro Magister, che ormai far la comunione è percepito come un segno comunitario al pari della “pace” e sentirsene esclusi è vissuto come un’intollerabile attentato ai propri “diritti”: un cristianesimo puramente emotivo e ignorante della dottrina quale quello odierno non può tollerarlo. Ai tempi di scarsa frequenza alla comunione chi non era in regola con la dottrina poteva passare inosservato, non così quando a comunicarsi va l’intera chiesa. Ho una coppia di amici del Centro-Italia che convivono, ma frequentano volentieri la parrocchia, dove lei, anzi, suona l’organo e dirige il coro. Pienamente e fraternamente accolti, nessun parrocchiano, nemmeno il parroco, ha mai fatto pesare loro la situazione personale. Mi manifestavano il loro disagio al momento della comunione, quando saltava all’occhio che erano gli unici a non mettersi in fila. Ho dovuto passare una nottata a spiegare il sacramento del matrimonio. Io, un laico che sta a Milano. Non so se li ho convinti. 
Ma a questo punto il vero problema non è quello attualmente in dibattito, cioè i divorziati risposati che vogliono fare la comunione. Questi sono quattro gatti, e non c’è bisogno di scomodare gli statistici per saperlo. No, i pastori dovrebbero chiedersi, semmai, com’è che la comunione è diventata un fenomeno di massa mentre la pratica penitenziale è a picco. Giustamente uno che convive more uxorio protesta: date la comunione oves et boves e a me no? Quello, dunque, dei divorziati risposati è un falso problema. Il problema vero è una pastorale matrimoniale fallimentare o inesistente. Di più: il concetto stesso di “peccato” è sparito e ormai siamo tutti come i biblici abitanti di Ninive che non sapevano «distinguere la propria mano destra dalla sinistra» (Giona 4, 9). Il criterio di concedere alle umane debolezze e ignoranza quel che chiedono non paga, lo dicono l’esperienza e la storia stessa della via dell’”apertura”. 
Giona, con sua gran sorpresa, convertì i pagani di Ninive semplicemente annunciando loro: «Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta» (3, 4). Certo, forse il metodo di Giona non è adatto al nostro evo. Ma è anche vero che i Novissimi sono spariti dalla predicazione, perché per troppo tempo si è ritenuto di poter rievangelizzare facendo ricorso alla sociologia. Un anonimo parroco francese convertì Eve Lavallière, la più celebre sciantosa francese dell’Ottocento, col solo chiederle se pensasse mai all’Inferno. Ovviamente, almeno in che cosa consistesse quest’ultimo la sciantosa lo sapeva: al catechismo, da bambina, glielo avevano insegnato.

Rino Cammilleri, Tutti in fila per la comunione. Ma quanti si confessano? NBQ 17-11-2014

stravolti

 Il volto stravolto
La rivista Ad Gentes chiude.
Brutto segno, commenta il missionario padre Gheddo.
Paolo 6: "La Chiesa, quando prende coscienza di se stessa, diventa missionaria".
Luigi Orione: Chi non è apostolo, è apostata.

1) Gli abbonati sono pochissimi, le copie stampate quasi tutte inviate in omaggio o in cambio a biblioteche, università, seminari, ecc.; e quindi gli istituti aderenti devono coprire il passivo economico;
2) la missione alle genti sta perdendo la sua identità e interessa sempre meno, almeno in Italia, parrocchie diocesi, seminari e il popolo di Dio; i mass media ne parlano sempre meno...

Ma oggi, ditemi voi: chi manifesta entusiasmo per la vocazione missionaria e dove è finito l’appello per le vocazioni missionarie ad gentes? Oggi facciamo le campagne nazionali per il debito estero, contro la produzione di armi, contro i farmaci contraffatti e per l’acqua pubblica; oggi non si parla più di missione alle genti ma di mondialità e di opere sociali o ecologiche. Mi sapete dire quanti giovani e ragazze si entusiasmano e si fanno missionari dopo una manifestazione di protesta contro la produzione di armi? Nessuno. Infatti gli istituti missionari non hanno quasi più vocazioni italiane.



In sacrestia! ovvero ritorno al futuro

“La perdita del sacramento della riconciliazione è la radice di molti mali nella vita della Chiesa e nella vita del sacerdote”.
“Una delle perdite più tragiche, che la nostra Chiesa ha subito, nella seconda metà del 20° secolo, è la perdita dello Spirito Santo nel sacramento della riconciliazione”.
“Laddove il sacerdote non è più confessore, diventa operatore sociale religioso”.
“Le meraviglie di Dio non accadono mai sotto i riflettori della storia mondiale”, ma “si realizzano sempre in disparte”, e in particolare “nel segreto del confessionale”.
“Quando il sacerdote si allontana dal confessionale, entra in una grave crisi di identità”. Nell’allontanamento dal sacramento della penitenza risiede “una delle cause principali della molteplice crisi in cui il sacerdozio si è venuto a trovare negli ultimi cinquant’anni”.
“Un sacerdote che non si trova, con frequenza, sia da un lato che dall’altro della grata del confessionale subisce danni permanenti alla sua anima e alla sua missione”.
“Solo Dio può rimettere i peccati”: per questo “il sacramento della penitenza è la fonte di permanente rinnovamento e di rivitalizzazione della nostra esistenza sacerdotale”.
“La cosiddetta crisi del sacramento della penitenza non è solo dovuta al fatto che la gente non viene più a confessarsi, ma che noi sacerdoti non siamo più presenti nel confessionale. Un confessionale in cui è presente un sacerdote, in una chiesa vuota, è il simbolo più toccante della pazienza di Dio che attende. Così è Dio. Ci attende tutta la vita”. Al contrario, “se ci viene in gran parte a mancare questo essenziale ambito del servizio sacerdotale, allora noi sacerdoti cadiamo facilmente in una mentalità funzionalista o al livello di una mera tecnica pastorale.
Il nostro esserci, da entrambi i lati della grata del confessionale, ci porta, attraverso la nostra testimonianza, a permettere che Cristo diventi percepibile per il popolo”.
“La gente ha una profonda nostalgia di sacerdoti, nei quali incontrare profondamente Cristo”.

Joachim Meisner, 9 giugno 2010

chi m'era



La Lumachella de la Vanagloria,
ch'era strisciata sopra un obbelisco,
guardò la bava e disse: - Già capisco
che lascerò un'impronta ne la Storia!
Trilussa, La Lumaca

padre della menzogna

Kevin: Che cosa sei?
Milton: Oh, io ho tanti di quei nomi...
Kevin: Satana?
Milton: Chiamami papà!
L'avvocato del diavolo, film del 1997 di Taylor Hackford con Al Pacino e Keanu Reeves.




Vangelo di Giovanni 8, 31 e seguenti
Gesù allora disse a quei Giudei che gli avevano creduto: «Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi».
Gli risposero: «Noi siamo discendenti di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno. Come puoi dire: «Diventerete liberi»?».
Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. Ora, lo schiavo non resta per sempre nella casa; il figlio vi resta per sempre. Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero. So che siete discendenti di Abramo. Ma intanto cercate di uccidermi perché la mia parola non trova accoglienza in voi. Io dico quello che ho visto presso il Padre; anche voi dunque fate quello che avete ascoltato dal padre vostro».
Gli risposero: «Il padre nostro è Abramo».
Disse loro Gesù: «Se foste figli di Abramo, fareste le opere di Abramo. Ora invece voi cercate di uccidere me, un uomo che vi ha detto la verità udita da Dio. Questo, Abramo non l'ha fatto. Voi fate le opere del padre vostro».
Gli risposero allora: «Noi non siamo nati da prostituzione; abbiamo un solo padre: Dio!».
Disse loro Gesù: «Se Dio fosse vostro padre, mi amereste, perché da Dio sono uscito e vengo; non sono venuto da me stesso, ma lui mi ha mandato.
Per quale motivo non comprendete il mio linguaggio?
Perché non potete dare ascolto alla mia parola.
Voi avete per padre il diavolo e volete compiere i desideri del padre vostro. Egli era omicida fin da principio e non stava saldo nella verità, perché in lui non c'è verità. Quando dice il falso, dice ciò che è suo, perché è menzognero e padre della menzogna.
A me, invece, voi non credete, perché dico la verità.
Chi di voi può dimostrare che ho peccato?
Se dico la verità, perché non mi credete?
Chi è da Dio ascolta le parole di Dio.
Per questo voi non ascoltate: perché non siete da Dio».

in medio stat corruptio magna

“Volete essere figli della luce, ma non rinunciate ad essere figli del mondo. Dovreste credere alla penitenza, ma voi credete alla felicità dei tempi nuovi. Dovreste parlare della grazia, ma voi preferite parlare del progresso umano. Dovreste annunciare Dio, ma preferite predicare l’uomo e l’umanità. Portare il nome di Cristo, ma sarebbe più giusto se portaste il nome di Pilato. Siete la grande corruzione, perché state nel mezzo. Volete stare nel mezzo tra la luce e il mondo. Siete maestri del compromesso e marciate col mondo. Io vi dico: fareste meglio ad andarvene col mondo ed abbandonare il Maestro, il cui regno non è di questo mondo”.
Atanasio di Alessandria, il Grande


“Non è di poco rilievo il fatto che, benché dal punto di vista storico il IV secolo sia stato illuminato da santi e dottori quali Atanasio, Ilario, i due Gregori, Basilio, Crisostomo, Ambrogio, Girolamo e Agostino (tutti vescovi eccetto uno), tuttavia proprio in questo periodo la divina Tradizione affidata alla Chiesa infallibile fu proclamata e mantenuta molto più dai fedeli che dall’episcopato.  
Intendo dire che […] in quel tempo di immensa confusione il dogma divino della divinità di Nostro Signore Gesù Cristo fu proclamato, imposto, mantenuto  e (umanamente parlando) preservato molto più dalla Ecclesia docta che dalla Ecclesia docens; che gran parte dell’episcopato fu infedele al suo mandato, mentre il popolo rimase fedele al suo battesimo; che a volte il Papa, a volte i patriarchi, metropoliti o vescovi, a volte gli stessi Concili dichiararono ciò che non avrebbero dovuto o fecero cose che oscuravano o compromettevano la verità rivelata. 
Mentre, al contrario, il popolo cristiano, guidato dalla Provvidenza, fu la forza ecclesiale che sorresse Atanasio, Eusebio di Vercelli ed altri grandi solitari che non avrebbero resistito senza il loro sostegno. 
In un certo senso si può dire che vi fu una “sospensione temporanea”delle funzioni della Ecclesia docens. La maggior parte dell’episcopato aveva mancato nel confessare la vera fede”.
John Henry Newman, Beato


la disperazione dei non-ama[n]ti


In molti conoscono l'aneddoto, tra i tanti attribuiti all'eccentrico quanto leggendario Marchese del Grillo, che narra di quella volta in cui il Sediario Pontificio venne respinto e poi accolto ad una cena di gala in ragione degli abiti che portava.

Ci si chiede: 
invero, di cosa si è in questua nella forsennata ricerca di un personale riconoscimento? 
Di cosa, nel "bisogno" di raggiungere determinate posizioni  - magari comprensive di abito e poltrona, veste paonazza e stallo -, se non di una approvazione che si creda o surroghi l'amore?

E quando si fosse raggiunto quel "traguardo", ci si può non accorgere che quel bene che si domandava per se stessi è, invece e solamente, tributato all'abito e all'anello?

Ma il cuor non tace,
e quanto fu cercato e non si ottenne
sovente si tramuta in malanimo perenne.




bastiOne


il fatto è che quando pende a destra io mi sposto a sinistra,
e quando rischia di rovinare a sinistra io mi sposto a destra.
nel primo caso mi si direbbe comunista, nell'altro fascista.
ma in realtà, vorrei solo che le ruote aderissero alla Strada.

a Stefano Pirrera, prete tornato a casa da qualche ora 
(era il 31 maggio 2013 h 22:44)

post pubblicato il 7.2.2014